Ho parlato con Alberto Sordi poco più di 
      un anno fa. Due conversazioni, le prime che avessimo mai fatto di persona, 
      drammatiche e decisive sia per lui che per me. In occasione dell’abbandono 
      della lira per il passaggio all’euro, Sordi aveva proposto — e tutti i 
      giornali ne avevano parlato con entusiasmo — di innalzare alla lira un 
      monumento. E’ stato allora che, nella disperata battaglia che conducevo 
      per convincere gli Italiani a non rinunciare alla sovranità monetaria e, 
      con l’adesione all’unione europea, all’indipendenza e alla libertà, ho 
      telefonato ad Alberto e l’ho supplicato di spendere la sua fama e i suoi 
      soldi, non per fare un monumento di addio, ma per salvare la lira. 
      
      Non ero pazza nel rivolgermi a lui e lui 
      lo sapeva bene. Troppo bene. Mi ha ascoltato con sorpresa perché stavamo 
      toccando il nucleo più profondo, quello vero, di tutto il suo messaggio 
      artistico. Un messaggio nascosto così bene da aver fatto di lui un genio 
      “piccolo” (checché oggi se ne dica) piccolo perché rappresentativo degli 
      Italiani, dei Romani, e non dell’umanità, non universale. Tutti gli hanno 
      riconosciuto che era grande in questo, anzi, tanto più grande quanto più 
      si nascondeva dietro alle debolezze, alle meschinità, alle vigliaccherie 
      "tipiche" — si diceva— dei Romani e che comunque gli stranieri 
      sopportano volentieri perché immerse nella bellezza indistruttibile di un 
      passato che a Roma è eternamente presente, ma che i Romani sono costretti 
      a portare sulle spalle fingendo una disinvoltura che nasconde una vergogna 
      troppo pesante per poter essere detta. 
      
      Dunque Sordi non era Chaplin. Era 
      infinitamente più grande di Chaplin. Lo sapeva, ma sapeva anche che se 
      avesse provato a dirlo, a rivelarlo, anche in un solo film, avrebbe 
      distrutto la sua fama, la condiscendenza con la quale sia gli umili che i 
      potenti si divertivano alle sue timide prese in giro del potere, ai suoi 
      goffi, ed inutili, tentativi di rappresentarne le sopraffazioni, le 
      storture. Era questo, infatti, il suo segreto. Quel segreto che per un 
      brevissimo istante è stato sul punto di tradire quando gli ho chiesto di 
      combattere per salvare, con la lira, la libertà degli Italiani. Due sole 
      conversazioni, in tutta la nostra vita: romano lui, romana io. Innamorato 
      di Roma lui, innamorata di Roma io. Due conversazioni drammaticissime 
      perché, forse per la prima volta, si è trovato di fronte a qualcuno che 
      capiva bene il suo segreto e che voleva farsi aiutare da lui a rivelarlo: 
      la storia dei Romani, degli Italiani, durante i duemila anni trascorsi 
      dalla fine dell’Impero, è la storia assolutamente unica di un popolo 
      ostaggio di due poteri, usato di volta in volta dall’uno e dall’altro come 
      strumento per la grandezza dei governanti, Papi, Duchi, Re, Imperatori; da 
      essi sempre venduti al migliore offerente, mandati a combattere e a morire 
      per lo straniero di turno, mai per se stessi, per la propria libertà. Per 
      questo il compito di Chaplin è stato immensamente più facile: 
      l’universalità dell’uomo e l’universalità della sua piccolezza davanti al 
      Potere. Tutti gli uomini, di qualsiasi epoca, di qualsiasi nazione, vi si 
      riconoscono. Ma la storia dell’Italia è una storia assolutamente diversa 
      da quella di tutti gli altri popoli. Lo è stata ieri; lo è nell’identico 
      modo oggi. Per un momento — lo spazio di tre giorni fra la prima 
      conversazione e l’ultima - Sordi è rimasto incerto sul da farsi: diventare 
      Italiano nella vita, nell’azione, smascherando quel potere che lui 
      conosceva talmente bene da essere riuscito a giocarvi capovolgendone lo 
      specchio. L'ho supplicato di uscire allo scoperto. Ho cercato di 
      convincerlo che la sua grandezza di artista, adesso che era giunto alla 
      fine della carriera, sarebbe finalmente apparsa nella sua reale 
      dimensione, e che nessuno più avrebbe identificato l' "uomo Sordi" con il 
      suo personaggio, piccolo nella vigliaccheria, piccolo nella furberia, 
      piccolo nelle aspirazioni, piccolo nel coraggio. Credo che, sia pure nella 
      drammaticità del momento, gli abbia fatto piacere sapere che qualcuno 
      conosceva il segreto della sua grandezza. Ma la sua convinzione che per 
      gli Italiani non ci fosse speranza; che non si potesse in nessun modo 
      combattere contro, non soltanto il Potere in generale, ma i due Poteri che 
      dominano da duemila armi su di noi, ha avuto la meglio. 
      
      Oggi, prima al Campidoglio, sotto la 
      statua di Cesare, poi a San Giovanni, nella prima Basilica romana, i 
      due poteri gli rendono omaggio. Non glielo avrebbero reso se avesse combattuto 
      contro l’euro e l’Unione europea.