eDITORIALE
Vengono da noi
perché qui l'individuo conta
di Ida Magli il Giornale | 10.07.2013
La
visita del Papa a Lampedusa ha riportato in primo piano molti dei temi
riguardanti l’immigrazione che da tanti anni si dibattono in Italia e
in Europa inutilmente perché non si riesce a trovare uno spunto comune
per dirigere gli sforzi verso un miglioramento della situazione. Una
situazione che, superata la commozione delle parole e della preghiera
recitata insieme al Papa, rimane angosciosa per la sua precarietà e per
il desiderio di trovare per queste popolazioni che fuggono dal proprio
paese, delle soluzioni “vere”, ossia funzionali ad una vita sociale e
culturale in Africa simile a quella che cercano da noi. Questo è un
punto determinante e del quale non si discute quasi per nulla perché
non visibile al primo impatto con persone che arrivano alla
spicciolata, affrontando il mare con mezzi fragili e pericolosi,
abbandonando tutto quello che a noi sembra indispensabile anche a una
persona “povera”: la propria terra, i propri confratelli, la propria
lingua, i propri costumi religiosi e sociali, il proprio lavoro, la
propria casa… In realtà, però, queste sono tutte cose che noi, l’Europa
e l’Occidente in generale, siamo riusciti ad ottenere con un lungo
sforzo di pensiero, di battaglia politica, di costruzione sociale,
insieme allo sforzo del lavoro concreto, dell’attività delle officine,
dell’apprendimento scolastico e sanitario. È stata necessaria per prima
cosa la convinzione e la salvaguardia di un “valore”: quello di ogni
singola persona e di tutto ciò che gli appartiene e che nessuno può
violare. Senza questa base del “diritto” non reggerebbe nulla della
nostra civiltà: la libertà politica, l’indipendenza della nazione,
l’ordinamento dello Stato, le leggi che regolano il lavoro e tutto
quanto ne dipende.
È questo il valore primario che attrae, anche se non saprebbero
forse spiegarlo chiaramente neanche a se stessi, tutti coloro che si
avventurano in mare per venire da noi. L’Io, il nostro essere prima di
tutto “Io”, come individuo, come persona di valore assoluto, è una
certezza iscritta nel cuore di ogni uomo, da quando emette il primo
vagito fino a quando muore, in ogni paese, in ogni epoca, in ogni
cultura. Purtroppo in vaste zone dell’Africa esistono molti gruppi
presso i quali questo valore non è stato elaborato chiaramente e messo
alla base dell’organizzazione sociale ed è questo il compito
fondamentale che dobbiamo svolgere in Africa, un compito per il quale
noi abbiamo moltissimi strumenti già pronti, ma che lo Stato italiano
non ha finora incoraggiato e utilizzato in maniera esplicita a questo
scopo. Un facile esempio consiste nel fatto che il maschio in Africa
lavora poco lasciando il lavoro della terra alle donne. Ma i maschi
musulmani da noi lavorano senza troppe remore e il punto è che debbono
convincersi che lo possono fare anche a casa loro perché il lavoro è un
diritto, un onore, un “valore” ovunque.
Insomma deve essere chiaro a tutti, ma prima di tutto ai nostri
governanti, che se si vuole aiutare l’Africa, bisogna farlo insegnando
ai suoi abitanti a organizzarsi nel proprio paese secondo il valore
della “persona” e del “lavoro”. L’immigrazione in Italia deve essere
assolutamente esclusa , senza eccezioni di nessun genere, oltre che per
gli evidenti motivi di ordine culturale, perché la popolazione si è
triplicata nel giro di un secolo e la densità demografica mette
seriamente a rischio una vita ordinata e civile. Ma noi abbiamo
l’obbligo di convincere gli africani a lavorare per il proprio paese
anche perché l’abbandono dell’Africa impoverisce tutto il mondo
non soltanto delle sue immense estensioni, delle sue ricchezze, delle
sue possibilità (la Cina sta già cercando di sostituirsi agli indigeni)
ma di tanti sogni, tante speranze in un orizzonte diverso.
Ida Magli
Roma, 9 luglio 2013 (In caso di riproduzione si prega di citare la fonte e di aggiungere il link a questa pagina)
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